L’ansia e i suoi disturbia

 


Giovanni M. Ruggiero

I disturbi d’ansia sono tra i più tipici e diffusi disagi psicologici del nostro tempo. L’ansia non patologica è uno stato d’animo di allarme e di attenzione ai problemi e, eventualmente, ai pericoli. Essa è una condizione utile, fino a una certa misura. Percepire l’ansia non è un segnale di disturbo psicologico. Il disturbo d’ansia non è nemmeno un eccesso d’ansia. Piuttosto, il problema risiede in quel che pensiamo dell’ansia e di come valutiamo la realtà, noi stessi e gli altri a partire da una condizione d’ansia che in sé è normale.
Il disturbo d’ansia inizia quando pensiamo di essere in presenza di un pericolo catastrofico e quando riteniamo si non essere in grado di fare nulla per gestire il pericolo. E così che un’emozione (l’ansia) diventa una malattia: un segnale di attenzione potenzialmente utile, ovvero l’ansia che ci dice: “attenzione! C’è un problema” diventa un messaggio di impotenza, fragilità e di catastrofe. L’ansia diventa patologica e diventa “si salvi chi può! Una sciagura incombe e non puoi farci nulla!”.
La terapia cognitiva agisce proprio su questi pensieri che accompagnano l’ansia. Non si tratta di far finta di nulla e di negare l’emozione. Piuttosto si tratta di ripensarla e di ricondurre l’ansia alla sua funzione utile di attenzione costruttiva ai problemi. Il terapeuta cognitivo incoraggia il cliente a riesaminare alle situazione che gli generano ansia e ad analizzare quali pericoli esattamente si corrono in quelle situazioni e a cosa si può fare e soprattutto a cosa si può pensare.
I disturbi d’ansia sono più di uno e si differenziano in base al tipo di pericolo temuto. Essi sono il disturbo di panico, la fobia sociale, le fobie specifiche, il disturbo d’ansia generalizzata, il disturbo ossessivo compulsivo e il disturbo post-traumatico da stress. Andiamo a esaminarli uno per uno.

Il disturbo d’ansia generalizzata
In questo disturbo troviamo l’ansia patologica nella sua condizione più pura. Il cliente affetto da questo disturbo si preoccupa un po’ di tutto perché ritiene che in fondo sia giusto così. Il mondo è un luogo pericoloso e il cliente ritiene di essere una persona fragile e incapace di affrontare i problemi. Di conseguenza, è giusto essere sempre preoccupati. O quasi. Infatti quella stessa persona cerca una terapia. Quindi, in qualche modo, il cliente sospetta di essere qualcuno (o qualcuna) che si preoccupa in po’ troppo. Di essere qualcuno (o qualcuna) che sopravvaluta i pericoli e sottovaluta la sua capacità di fronteggiarli. Però le sue idee sono confuse. In che senso questa persona esagera i suoi timori? Cosa pensa esattamente nel momento i cui si preoccupa? E in che modo questi pensieri, invece di aiutarlo, lo hanno paralizzato? Si tratta di lavorare sui pensieri. Perché non tentare con la terapia cognitiva?

Il disturbo di panico
In questo disturbo il cliente teme la sua stessa paura. La differenza con il disturbo d’ansia generalizzata è sottile, ma significativa. In questo caso non si temono pericoli esterni, ma la propria stessa emozione di paura non solo in presenza di un pericolo, ma anche in assenza. Anzi, soprattutto in assenza di un pericolo. Come è possibile? In realtà un qualche pericolo c’è sempre, ma il cliente è così abituato a dare troppa attenzione al suo stato d’animo nervoso e preoccupato da non rendersi più conto di cosa ha paura. Per questo motivo questo tipo di disturbo porta facilmente al dubbio di essere “matti”. Ma non è così. E per questo il cliente cerca delle soluzioni errate, che peggiorano la situazione. Per esempio, uscire sempre più raramente di casa, limitarsi a percorsi fissi, tenersi sempre nelle vicinanze di luoghi e persone “sicure”.
Ma queste non sono vere soluzioni. Meglio sarebbe riflettere con calma e attenzione a cosa si prova e a cosa si pensa. Forse da soli non è sempre facile riuscirci. Per questo un terapeuta può essere di aiuto.
La fobia sociale
In questo caso il cliente sa di cosa ha paura: il giudizio degli altri, sempre negativo; le situazioni sociali, sempre imbarazzanti; la propria capacità di stare in mezzo agli altri, di essere simpatico/a, di saper cosa dire e di dire cose interessanti, insomma le proprie capacità sociali, sempre penose. Il cliente non teme di impazzire, ma sono di essere un imbranato. Meno terrorizzante, ma altrettanto penoso. Una fonte di sofferenze da non sottovalutare. In realtà ogni situazione sociale ci procura un po’ d’ansia. Chi non è preoccupato prima di parlare in pubblico? Ma anche partecipare a una festa può diventare una piccola impresa, se ci si mette in testa di essere noiosi o, peggio, “sfigati”. Ancora una volta il problema non è la situazione, ma ciò che ne pensiamo. E la soluzione è cambiare i nostri pensieri.
Le fobie specifiche
Nelle fobie specifiche ci si preoccupa solo di un aspetto della realtà: il sangue, i ragni, le grandi altezze. Rispetto ad altre forme d’ansia sembrerebbe qualcosa di meno increscioso e angosciante. Se non che a volte ci si chiede: ma è possibile essere così terrorizzati solo da questa specifica cosa? E proprio da qui si inizia poi a rimuginare a più non posso. E dietro l’angolo si nasconde la solita paura finale: di non essere normali. E così una piccola pura diventa una grande ansia. I nostri pensieri possono essere davvero pericolosi. Occorre ripensarli.
Il disturbo ossessivo compulsivo
Cosa trasforma un’ansia in un’ossessione? Paradossalmente, la pretesa di liberarsene controllandola. Ma come, si dirà, non dobbiamo in qualche modo affrontarla? Non abbiamo l’obiettivo di liberarcene? Certo, ma comprendendo che un certo grado d’ansia è normale e perfino utile. Il problema non è l’ansia, ma i pensieri catastrofici che noi generiamo quando la proviamo. Pensieri così terribili che tentiamo di eliminarli. Ma eliminarli come? Controllandoli. Ma tentare di controllarli significa trasformarli in ossessioni. E poi: controllarli come? Attraverso altri controlli. Per esempio esaminando e riesaminando tutto ciò che abbiamo fatto, alla ricerca di eventuali errori. Oppure attraverso rituali ripetitivi, le cosiddette compulsioni. Ad esempio, evitando di calpestare le righe sulle pavimentazioni dei marciapiedi della città in cui viviamo. Ogni giorno andando al lavoro. Può diventare un inferno. In realtà stiamo ancora una volta tentando di controllare la realtà e non stiamo lavorando sui nostri pensieri. Almeno non ci stiamo lavorando nella maniera giusta.
Il disturbo post-traumatico da stress
Subire un’esperienza dolorosa e traumatica non è un’esperienza felice. Inoltre, spesso il trauma si insedia nella nostra mente e sembra non mollarci più. Non possiamo nemmeno rischiare di pensare per sbaglio a ciò che ci è accaduto. Ma è possibile decidere di non pensare qualcosa? Ancora una volta, ci sono dei limiti alla nostra capacità di controllare la nostra mente. Forse però trovare un luogo protetto dove finalmente pensare i nostri pensieri più terribili potrebbe essere una soluzione. Ma non si tratta solo di potersi sfogare. Anche in questo caso si tratta di riesaminare cosa pensiamo di quel che ci è capitato. E qui potremmo trovare pensieri che non ci aiutano a superare il trauma, ma lo ripropongono ogni giorno che passa.

 

Per quanti fossero interessati a fissare un primo colloquio possono chiamare il numero di cellulare 333 3255407 per prenotare un primo consulto presso il centro psicoterapico di Rho